Una storia surreale per la quale potrei perdere la patente. Forse è il caso di fermarsi un attimo a riflettere…
Mettiamo che sia una giornata qualunque. Sono in macchina, il traffico scorre lento, e la playlist che ho scelto sta facendo miracoli per calmare i nervi. A un certo punto, vedo le luci lampeggianti della Polizia. Mi fermano. “Un controllo di routine, nulla di che,” penso. Ma da lì, la mia giornata prende una piega surreale.
Gli agenti mi chiedono patente e libretto, e fino a qui tutto regolare. Poi mi chiedono di sottopormi a un test antidroga salivare. Non capisco perché, dato che non mostro segni di alterazione. Non sono agitato, non balbetto, e sicuramente non sto cercando di nascondere nulla. “Procedura standard,” mi spiegano. Bene. Apro la bocca, fanno il prelievo e aspetto il verdetto.
Dopo qualche minuto, il poliziotto si avvicina con un’aria seria. “Risultato positivo. Dobbiamo sospenderle la patente.” Mi si gela il sangue. Positivo? Ma a cosa? Non bevo da giorni, non fumo nulla di strano e l’unica sostanza che ho assunto è un antistaminico per la mia allergia.
Provo a spiegarmi: “Guardate, ho preso solo un medicinale per il raffreddore. È prescritto dal medico, lo giuro!” Ma non c’è niente da fare. Secondo il nuovo Codice della Strada, il test preliminare basta per sospendermi la patente, comminarmi una multa salata e mettermi di fronte a un incubo burocratico.
Ora, per dimostrare che non sono un criminale, devo:
- Aspettare i risultati di un test di conferma, che arriveranno tra circa dieci giorni.
- Pagare un avvocato per assistermi nelle pratiche.
- Affrontare la vita quotidiana senza patente, il che significa spendere soldi in taxi o pregare amici e familiari per un passaggio.
E tutto questo perché? Per un falso positivo dovuto a un farmaco comune.
Colpevole fino a prova contraria: l’assurdità del nuovo codice stradale
Qui non si parla più di sicurezza stradale, ma di una vera e propria presunzione di colpevolezza. Il test rapido ha decretato che sono “positivo”, e poco importa che non ci sia stato alcun pericolo reale. Non ho sbandato, non ho commesso infrazioni, e sicuramente non rappresentavo una minaccia. E soprattutto, anche qualora – per assurdo – mi fossi drogato 3 giorni fa: mi puniscono perché mi drogo, non perché sono un pericolo alla guida.
La beffa? Scopro che falsi positivi con questi test sono tutt’altro che rari. L’ibuprofene può far risultare tracce di marijuana. Gli antistaminici? Possono confondere i sensori, segnalando anfetamine. E io, intanto, devo dimostrare che non ho fatto nulla di male, con buona pace del mio tempo e del mio portafoglio.
La domanda che mi faccio è: tutto questo sistema punitivo serve davvero a qualcosa? Perché invece di concentrarsi sulla pericolosità concreta, si è deciso di dare così tanto peso a un test preliminare? Se il problema è la sicurezza, perché non aspettare i risultati definitivi prima di sospendere patenti o infliggere multe?
E poi, c’è la questione dell’effetto reale delle sostanze. Il nuovo Codice della Strada non distingue tra chi guida in stato di alterazione e chi, semplicemente, ha tracce nel sangue o nella saliva per motivi innocui. Non importa che io sia completamente lucido e in grado di guidare: se il test dice positivo, sono colpevole.
La vita in pausa per un errore
Così mi ritrovo, senza patente e con una multa in tasca, a chiedermi come affrontare i prossimi giorni. Smetterò di prendere antistaminici? Eviterò farmaci per il raffreddore? Certo, posso sempre chiudermi in casa, ma non è questo il punto.
Il punto è che questo sistema, così com’è, rischia di punire persone innocenti, costringendole a dimostrare la propria estraneità ai fatti. Un rovesciamento assurdo del principio secondo cui sei innocente fino a prova contraria.
E mentre aspetto i risultati del test, penso a tutti gli altri che potrebbero trovarsi nella mia stessa situazione. È questo il modo migliore per garantire la sicurezza stradale? O forse stiamo solo costruendo un sistema che punisce prima e riflette poi?